AUSILIARIE NELLA RSI (REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA)
NASCE IL SERVIZIO AUSILIARIO
FEMMINILE Uno slancio ideale e generoso
( da Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze
Armate della RSI-NovoAntico Editrice)
Fu l'indignazione per il tradimento
badogliano dell'8 settembre 1943, che vanificava il sacrificio dei Caduti
e lo sforzo comune di più generazioni, a provocare la reazione di
un rilevante numero di donne, la maggior parte giovani, e a spingerle ad
una scelta non soltanto politica ma a difesa dell'onore stesso d'Italia.
Esse vollero dimostrare in modo tangibile la loro ribellione all'ignobile
tradimento consumato il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, dove
Badoglio firmò all'insaputa dell'alleato tedesco l'armistizio con
il nemico. Per rigore storico precisiamo che il 5 dello stesso mese (nonostante
l'armistizio firmato) fu violentemente bombardata dalle "fortezze
volanti", gli enormi bombardieri angioamericani, la città di
Frascati e che solo l'8 settembre gli italiani vennero a sapere dell'avvenuta
resa.
Nel gennaio 1944 il giornalista
Concetto Pettinato scrive su "La Stampa" un appassionato articolo
nel quale chiama a raccolta nell'ora difficile e disperata le donne d'Italia.
A Milano, in Piazza S. Sepolcro,
circa 600 giovani donne si radunano spontaneamente e ribadiscono la loro
volontà di partecipare in modo attivo al conflitto, chiedendo di
essere arruolate.
Situazioni analoghe si verificano
in altri centri della Repubblica Sociale italiana. Cominciano a costituirsi
spontaneamente gruppi femminili in servizio presso i Comandi Militari.
Si va sempre più concretizzando l'idea di un arruolamento volontario
femminile nelle file dell'Esercito Repubblicano.
A Torino l'insegnante Anna
Maria Bardia raduna un gruppo di ragazze che, dopo un corso di addestramento
in una caserma di Moncalieri, vengono impiegate nei reparti della Guardia
Nazionale Repubblicana di Frontiera (Confinaria), dando prova di disciplina,
di serietà e di attaccamento al dovere.
Anche la Decima Flottiglia
MAS comincia ad inquadrare le sue volontarie. i corsi dei Servizio Ausiliario
della Decima, organizzati e guidati da Fede Arnaud Pocek, furono tre (Sulzano,
BS - Grandola, CO - Coi di Luna, TV), per un totale di circa 300 ragazze.
Dai primi dell'aprile 1944
è in svolgimento a Noventa Vicentina il primo Corso Nazionale "Avanguardia"
dell'opera Balilia, il cui Presidente, Generale Renato Ricci, è
un convinto assertore dell'arruoiamento femminile nelle Forze Armate.
Seguiranno altri due corsi
nazionali: "Ardimento" a Castiglione olona e "Siro Gaiani"
a Milano, quest'ultimo intitolato al milite della G.N.R. falciato da una
raffica di mitra esplosa dai partigiani mentre essi tentavano di penetrare
nell'edificio adibito ad accantonamento delle allieve. Le ausiliarie uscite
da questi tre corsi vengono scherzosamente chiamate "Balilline"
in quanto la loro età minima di arruolamento è di soli 16
anni. In prevalenza, esse presteranno servizio alla Guardia Nazionale Repubblicana.
Anche le "Balilline",
come le sorelle maggiori, non esitano ad abbandonare la casa, la scuola,
gli affetti e le comodità della famiglia. Scelgono, temperando l'esuberanza
dell'adolescenza, una vita di disciplina e di sacrificio, pur di poter
essere anche loro utili alla Patria.
La foro divisa è costituita
da: giacca sahariana senza collo e gonna pantaloni, entrambe di colore
kaki, camicia nera, basco, e fregi della doppia M della G.N.R. sulla fibbia
dei cinturone di pelle e sul bavero.
Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze
Armate della RSI NovoAntico Editrice. Ia edizione, Maggio 1997. C.P.
28 10064 Pinerolo (TO) Tel. +39 (0) 337 215.494 Fax +39 (0)
121 71.977 Segr.Tel. +39 (0) 121 74.417
AUSILIARIE
Dal Memoriale della Vicecomandante Cesaria Pancheri
I volti si confondono nel
ricordo. Balzano incontro in file serrate come quando marciavano e sembravano
un unico volto nel riflesso della passione comune. Nel cuore hanno un solo
nome: che racchiude in sé dolore e ardimento, sofferenze e ribellioni:
ausiliarie.
I nomi dei corsi sono come
bandiere in raccolta, i nomi dei campi di concentramento e delle prigioni
sono i cartelli indicatori, attorno a cui i volti emergono dalla nebbia
del tempo.
Una fraternità creata
da un anno di vita militare ha stretto le volontarie del S.A. in una compatta
unità, rendendo comuni le sofferenze, i ricordi, le speranze. Oggi,
la vita borghese ha riassorbito le ausiliarie. Camminano nelle infinite
strade del destino inseguendo il sogno che spinge ognuno di noi a portare
il fardello della vita. Incontrandoci su queste strade non ci riconosciamo
più. Abbiamo smesso la divisa, orgoglio del soldato, e non c'è
più nulla di esteriore a rivelare la vita militare. Nel periodo
dell'insurrezione, raminghe portavamo su di noi ancora un'impronta del
passato, quella che bastava a farci, riconoscere anche se non eravamo compagne
di corso.
Allieve Ausiliarie a Venezia durante una pausa
(da Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI-NovoAntico
Editrice: per altre foto vedi Breve
album fotografico di ausiliarie con didascalie)
Erano le scarpe che non avevamo
potuto cambiare che tradivano una comune origine, o le calze o quel modo
strano di vestire gli abiti borghesi, dopo un anno di grigioverde. E da
quel particolare nasceva il desiderio di rivelare l'identità. Salivi
in tram e scrutavi i volti dei vicini, i giornali che leggevano, pensavi
che sarebbe andata bene anche questa volta, ed ecco che al momento di scendere
una ragazza si avvicinava furtivamente e sussurrava: “Comandante, corso
"18 Aprile", corso "Roma", ed aveva un sorriso felice,
un sorriso che voleva dire: sono ancora qui, non sono riusciti a pescarmi”.
Era come incontrare un'oasi
nel deserto, come bere a una fresca sorgente, quella dell'amicizia.
Hanno gettato fango e sangue
sulle ausiliarie. Hanno odiato in esse l'espressione del coraggio e della
decisione in un periodo in cui molti trovarono, nella vigliaccheria dello
spirito, rifugio alla paura.
Non conoscevano le ausiliarie,
non sapevano la forza di volontà, l'entusiasmo e anche un pizzico
di follia che faceva sfidare il destino e che dava alla vita un senso,
pauroso e dolce nello stesso tempo, e che era per l'ausiliaria il viatico
necessario in un mondo dove l'amore era morto.
C'era una canzone delle ausiliarie
che parlava dei loro vent'anni. Ma molte ne avevano ancora meno. Avevano
disertato i banchi della scuola per essere presenti ad una scuola di sacrificio
e di disciplina, avevano chiuso i libri per leggere nel gran libro della
vita una storia di tradimento e di morte, dove i sogni non avrebbero trionfato
nella realtà. Ragazze adolescenti come Nadia, Lucia, Luciana e tutte
le allieve dei corsi dell'Opera Balilla di [Castiglionel Olona, Noventa
e Milano, si forgiarono nel duro addestramento militare, piegando l'esuberanza
alla disciplina, costituendo una sorgente di fresca speranza. E molte avevano
i segni degli anni sul volto e i segni del lutto sulle vesti. Erano madri
e spose di caduti. Vestendo la divisa grigioverde esse rivivevano i sogni
di gloria del figlio o del marito, un povero sogno insidiato dal tarlo
del disfattismo.
Intellettuali e donne del
popolo avevano trovato nell'amore della Patria il cimento all'amicizia
e alla solidarietà.
Era un amore purificatore
che dissolveva le incrostazioni artificiose della cultura per lasciare
l'animo ardente. Nel richiamo scaturito dalle profondità dello spirito
c'era il comune senso della solidarietà. Tutte le ausiliarie dalla
comandante alla donna di fatica che puliva i pavimenti avevano un solo
fine: servire l'Italia.
Venezia: Corsi SAF, cambio della guardia (da
Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI-NovoAntico Editrice:
per altre foto vedi Breve
album fotografico di ausiliarie con didascalie)
Oggi, nella vita borghese,
se un'ausiliaria ti passa accanto tu non la conosci perché non ha
lo zaino troppo gonfio, né il basco troppo inclinato, o i capelli
ribelli da riprendere. Così quando in una città dell'Abruzzo
mi avvicinai ad un'edicola per comprare un giornale, in attesa del treno,
il volto aureolato della fiammata dei capelli rossi non mi disse nulla.
Ma lei riuscì a mettersi sull'attenti anche nei pochi decimetri
quadrati di pavimento e balzò anche il suo nome dal ricordo. Era
l'ausiliaria emiliana, che ci aveva fatto ammattire con le sue trovate,
destinate a drammatizzare la vita monotona del Comando. Quando vi era giunta
era reduce da un brutta avventura. Era stata catturata dai partigiani sull'Appennino
e liberata da un reparto nostro.
Della prigionia aveva conservato
un'impronta indelebile che prendeva vita nei sonni agitati da incubi, in
cui riviveva l'orrore della cattura. Al Comando, dove era stata tenuta
a riposo, si annoiava. Fu per questo che un pomeriggio la sede del Comando
fu scossa da un'esplosione. Trovai la ragazza nell'atrio semisvenuta, attorniata
da un gruppo di compagne. Aprì gli occhi e li richiuse. Aveva raccontato
di essere stata aggredita da un partigiano, che le aveva lanciato una bomba
a mano. Uno spigolo del pilastro e del cancello mostrava una sbrecciatura.
Più tardi, sotto il torchio di un interrogatorio fatto dalla comandante
confessò di essere stata lei. Voleva mantenere il ruolo di protagonista
e non cadere nella folla anonima delle comparse. Ridemmo ricordando il
fatto. Ora vendeva giornali e sigarette alla borsa nera e stava benone.
Sembrava una belvetta fulva
in una gabbia troppo stretta.
La divisa rendeva simili le
ausiliarie, dalla testa ai piedi tutto era regolamentare, compresa l'inclinazione
del basco, il famoso basco “all'invasore” come lo definì un'ispettrice
dei fasci femminili, non troppo tenera verso di noi.
Era un mondo femminile difficile
da guidare e capire, perché è sempre difficile sondare l'impulso
del sentimento piuttosto che quello della ragione. In epoche in cui l'equilibrio
si rallenta per il prevalere delle passioni contrastanti, i contorni delle
cose si deformano ed è difficile cogliere l'essenza della realtà.
Il clima spirituale di queste
ragazze era arroventato dal riflesso delle passioni, che avevano diviso
il paese. Esse erano intransigenti, come la giovinezza, incapaci di comprendere
i compromessi di cui la vita è intessuta.
Era un mondo dove metalli
diversi cercavano, nel comune crogiuolo, un'unica tempra: la tempra che
creò l'ausiliaria.
Ognuna recava un bagaglio
di idee e d'illusioni, ognuna credeva nei miracoli e disprezzava il buon
senso come indice di debolezza.
Nel comando vedevano un organo
burocratico, che creava difficoltà ai loro piani, che gettava acqua
sulle loro passioni.
Ed era anche un cospirare
continuo, un brontolare affettuoso, il tradizionale malcontento della “naia”
contro gli uffici dei comandi.
Ausiliarie strampalate inviavano
piani che avrebbero dovuto mettere in sesto qualche servizio della repubblica.
Altre, nell'entusiasmo verso i soldati, chiedevano di raggiungere il fronte
e magari trascinate dal loro sogno, abbandonavano il posto per raggiungerlo.
Poi erano fermate sotto l'accusa di diserzione e il tribunale militare
applicava come punizione proprio quello che desideravano: il fronte. E
allora colloqui con i generali per spiegare che le ausiliarie disertavano
per raggiungere il fronte e che quindi bisognava punirle diversamente per
l'indisciplina.
E tra le ausiliarie c'erano
comandanti inquiete a cui non bastava la responsabilità del comando,
ma spiravano a realizzazioni più ampie.
Rimproveravano al comando
un'azione senza voli di fantasia, non approvavano la selezione degli elementi,
il controllo dei requisiti, avrebbero aperto le fila a tutte coloro che
lo richiedevano perché consideravano la partecipazione alla guerra
una catarsi rigeneratrice. La “Stampa” di Torino iniziò un attacco
dicendo che il Comando generale aveva una concezione monacale del S.A.,
mentre decine di migliaia di donne avrebbero potuto entrare nei quadri
del S.A. Ispiratrice dell'articolo era stata una comandante che univa ad
un ingegno brillante un pizzico di spavalderia. Furono anche le sue insistenza
a porre il problema dei nuclei di assistenza presso le divisioni al fronte.
E molte erano, come lei, pronte allo sbaraglio e insofferenti a ogni voce
di prudenza.
Esse credevano di non essere
capite, ma c'era invece a frenare l'impulso quel sentirsi arbitri di decisioni
che potevano mutare i destini.
E c'erano le ausiliarie che
ovunque vedevano il tradimento, il disfattismo, la sfiducia e invocavano
interventi, che non avvenivano per l'impossibilità di agire in base
a semplici intuizioni, anche se in tutti era la convinzione che molte cose
andassero a rovescio per il tradimento annidato negli stessi comandi militari.
Ma se esistevano contrasti essi erano aperti e non scavavano abissi tra
noi, eravamo una famiglia, dove il vincolo del sangue era sostituto dallo
spirito di corpo. Scambiavamo le scarpe in buone condizioni con quelle
a buchi delle ausiliarie in partenza. In ogni accantonamento cedevano la
brandina e dormivano per terra per ospitarci nelle ispezioni.
L'eroismo dell'ausiliaria
non si è manifestato solo di fronte alla morte, che non fu una libera
scelta, non nella prigionia che fu inevitabile, ma nel sopportare giorno
per giorno la disciplina e la vita dura, la gavetta e la branda, la vita
incerta, i trasferimenti.
E tutto questo non avveniva
tra il consenso della gente, tra il festoso saluto del popolo, ma tra l'ostilità
e la minaccia, con la sensazione del pericolo sulle spalle. Un capo partigiano
mi disse, dopo l'insurrezione, che aveva sempre avuto terrore delle ausiliarie.
Un giorno che una lo aveva fissato per strada, concluse, il cuore gli batté
all'impazzata. “Se mi guardava ancora un pò sparavo”. E pensare
che forse lo guardava solo perchè era un bel ragazzo, non poteva
leggere in viso che era un partigiano. Quando glielo dissi ammise che poteva
essere così, ma loro ci pensavano a caccia di partigiani, mentre
la realtà era che loro cacciavano le ausiliarie. Eleganti, sorridenti,
trovarono l’amore tra i bombardamenti e le avventure. Quando le vedo nelle
divise attillate penso all’ausiliaria curva sotto il sacco da montagna,
ferma ai posti di blocco in attesa di un camion,sola con la sua fede contro
tutti. Forse anche l’amore è nato nella solitudine delle Alpi, o
nelle corsie di un ospedale, un amore tra disperati, senza avvenire. Storie
di ausiliarie fioriscono nella memoria.
Tutte ne hanno una da raccontare
ai figli o ai nipoti. Alcune sono diventate patrimonio comune di cui siamo
orgogliose, tale è la storia di M. Luisa. Viveva in una città
oltre il Po, già conquistata dagli alleati. Frequentava il liceo,
ma il suo pensiero si rodeva nella vita tranquilla pensando alla guerra
che ancora continuava. L'odio per i conquistatori e l'ansia di partecipare
alla lotta ardevano nella sua anima adolescente con tragica violenza. La
guerra si era spostata qualche chilometro verso nord, lasciando dietro
di sé le tracce dei combattimenti. M. Luisa volle raggiungere il
territorio della repubblica. Attraverso la radio sa che si combatte ancora,
sa che vi sono le ausiliarie. Sul tavolo vi sono i libri preparati per
la scuola, ma lei ha deciso di non andarci più.
All'alba esce sulla strada
dove le macchine rombano senza riposo, portando i rifornimenti alle linee.
Un camion alleato rallenta.
La solita faccia di negro si apre nel sorriso come un cocomero spaccato.
“Tu dove andare?” “Andare a A. a trovare parenti”. Sale sul camion, il
negro canta un ritmo bizzarro.
M. Luisa pensa al mondo chiuso
dietro di sé, alla gentilezza del negro, all'avvenire. Ad A., M.
Luisa toccò il braccio del soldato: “Io scendere qui”. A tre chilometri
c'erano le linee. Il difficile era passare. Una nebbia leggera copriva
il terreno, gli alberi sembravano galleggiare su un mare fluttuante, come
fantasmi. Più in là una sentinella piegò verso una
casupola diroccata e vi entrò. La ragazza continuò ad avanzare
come un automa, col cuore che batteva furiosamente. Il tempo non contava
più nel terrore di non riuscire, quanto camminò? Ore, minuti,
forse, ma sembrarono secoli. Da una buca balza un soldato e l'afferra.
Ha un volto duro e spietato e urla: “C'è una spia”. Lei singhiozza,
ride, i soldati accorsi non capiscono. Dopo spiega all'ufficiale che vuol
andare a Milano ad arruolarsi: conosce il generale Diamanti. Viene accompagnata
a Milano. Il generale telefona al Servizio ausiliario, l'indomani M. Luisa
è allieva ausiliaria. Dopo il corso riprende la strada per prestare
servizio ad un posto di ristoro verso le linee. Era una ragazza tranquilla,
con qualche cosa d'infantile nel viso, solo gli occhi avevano una ferma
risolutezza, che le trecce allungate sulle spalle non riuscivano a cancellare.
Tutte le ausiliarie ricordano
Giovanna Deiana. Era rimasta cieca in un bombardamento e aveva supplicato
di essere accolta nel S.A.
Venne con una sorella più
giovane. Attorno a sé rifletteva la serenità del suo spirito
non piegato dalla prova. Era come se vedesse più profondamente di
tutte. Quando Giovanna Deiana conversava col tenente Infantino, cieco e
mutilato delle mani, ospite talvolta delle ausiliarie, sembrava di assistere
ad un colloquio tra due anime, che oltre il martirio della carne, vivessero
negli spazi senza limiti dello spirito.
Per essi s'era spenta la luce
delle cose, ma splendeva dietro le pupille arse la luce della fede e della
speranza.
La storia dell'ausiliaria
Franca Barbieri, proposta per la medaglia d'oro, è quella d'un soldato.
Catturata dai partigiani, le viene offerta la vita a condizione di passare
nei ranghi delle loro formazioni. L'ausiliaria rifiuta. Di fronte al plotone
di esecuzione grida “viva l'Italia” e cade sotto le raffiche dei mitra.
Il Servizio ausiliario aveva
pochi mesi di vita, ma già un esperienza di dolore e di morte gravava
lo spirito delle volontarie.
Le imboscate diradavano le
fila, lasciando un senso di desolazione. I nomi diventavano elenchi, freddi
elenchi che riassumevano una tragedia.
La capogruppo Forni fu uccisa
dai partigiani mentre tentava, con mezzi di fortuna, di raggiungere il
fratello ferito in un ospedale del Piemonte. Fu trovata in un bosco crivellata
di colpi.
L'ausiliaria F., del Comando
di Novara, prese una breve licenza per salutare la madre e la famiglia.
Si recò al posto di blocco per trovare un mezzo. Fu la macchina
del prefetto Manganiello che diede un passaggio alla ragazza. Ma non arrivò
a destinazione. Il suo corpo seviziato e irriconoscibile fu tratto dallo
stagno in cui era stato gettato insieme a quello del prefetto. Non rivide
più sua madre. Incominciarono in seguito le catture. La vita delle
ausiliarie prigioniere dipese dal caso, dalle vicende e dall'umanità
dei partigiani. Non vi era legge di guerra a salvaguardare il diritto del
soldato. Era una guerra piena di incognite.
La comandante di Novara con
due ausiliarie fu catturata con un gruppo di soldati in una stazione sulla
linea Novara-Torino. Un gruppo di partigiani assalì il treno. Soldati
e ausiliarie sotto la minaccia dei mitra dovettero scendere e seguire i
partigiani verso la montagna. Furono tolte le scarpe ai prigionieri, che
camminarono scalzi, nella notte, dormirono di giorno nei pagliai per riprendere
la tragica marcia.
La notizia arrivò al
comando suscitando dolore e sbalordimento. Poi un giornale pubblicò
la notizia della fucilazione. Una volta tanto la notizia non era vera.
Arrivarono invece le proposte dei partigiani per lo scambio. Chiedevano
18 partigiani, ostaggi nelle carceri. Molti erano in mano dei tedeschi.
Pregammo il federale Porta, che ci pose a contatto col generale Tensfeld
a Monza.
I tedeschi mollarono quattro
partigiani, otto i nostri, e lo scambio si effettuò sulla base di
12. Le ausiliarie tornarono alla vita sconvolte per aver assistito alla
fucilazione di un volontario della Nembo.
Esse subirono umiliazioni,
furono schiaffeggiate, ma ritornarono salve. Fu don Riva, il nostro cappellano,
che andò a prenderle in consegna.
Ripresero il loro posto. L'ultimo
ostaggio fu costituito dalla comandante della Spezia, una ragazza piena
di coraggio, che voleva i posti più avanzati e pericolosi. Fu fermata
dai partigiani ad un posto di blocco tra la Liguria e il Piemonte. Fu rimessa
in libertà dopo l'insurrezione. La cattura delle ausiliarie aveva
messo in allarme gli ambienti militari per le conseguenze che ne derivavano.
La richiesta degli ostaggi
per lo scambio era in forti proporzioni. Il Comando proibì le licenze,
raccomandò misure di prudenza.
Ma le ausiliarie non vollero
costituire una preoccupazione. Arrivarono in quei giorni, sempre più
numerose, le lettere che dicevano: “In caso di cattura prego il comando
a non far passi per ottenere la liberazione con lo scambio di ostaggi”.
Così erano, materia
incandescente da cui si sprigionavano scintille di fede, bagliori di entusiasmo.
Così erano impastate
di eroismo e di follia, in un mondo di compromesso e di malignità.
Così cantavano, e mai
canzone fu cantata con tanta spavalda consapevolezza, e mai canzone fu
così vera. Fidanzate della morte, suggellarono l'amore nel sangue
perché durasse eterno.
DONNE IN GRIGIOVERDE Marino Viganò.
Edizioni Settimo Sigillo. Via P. Cavallini 27-29, 00193 Roma, Tel. 06-39722155,
39722159, fax 39722166. Dal Memoriale della Vicecomandante Cesaria
Pancheri.
SI PARTE RAGAZZE! Come scrivevano le ausiliarie
(da Sveglia! del 29 Dic. 1944) Ausiliaria Maria Patinano
Allegria: una ragazzona in gamba, florida, col viso
abbronzato e il gesto largo. - E tu, di dove sbuchi? - Vengo da...
Vado a... - E che hai fatto, di bello?
Quando ci troviamo fra vecchie ausiliarie volontarie,
potete ben figurarvi gli abbracci e le feste. La facciamo da veterani...
Ognuna racconta le sue avventure, e se procede di questo passo la smania
di essere brave e di fare molto, andrà anche a finire che i racconti
abbelliranno un pochino la realtà, sempre alla moda dei veterani,
e ne sentiremo di straordinarie! Però, è inutile che faccia
la maligna, adesso, perché non siamo ancora a questo punto. Caso
mai, ci penseranno le nostre giornaliste e propagandiste... E questa è
per me, quale giusto autocastigo. Trovo dunque la florida Rita. (Spero
che le daranno i galloni, perché ha proprio l'aspetto classico del
"sergentone". O non la chiamavamo "sergentone" anche
al corso di addestramento?). Con le sue avventure, mi mette subito fuori
combattimento. Proclama infatti, con la sicurezza del trionfatore: - Io
ho fatto dei viaggi coi posti mobili di ristoro, cara mia! - Eh?!
La faccenda dei posti mobili di ristoro, dovete
sapere, è il punto nevralgico delle ausiliarie. Già, perché
tutte ci volevamo andare, a questi posti mobili di ristoro, con l'idea
- più o meno segreta - che fosse l'unico modo, per noi, di andare
al fronte. Ma poi, di posti mobili di ristoro non ce ne sono stati abbastanza
per tutte e quindi, al fronte niente.... Il che è il tarlo che ci
rode.
Ma questo è un inciso. Inghiotto amaro, insomma,
e sputo dolce.
- Bene, bene. Racconta!
- Ho fatto cinque viaggi. Ma non ti racconto niente, perché
non ho tempo. Devo partire per.. Eccoti però le relazioni, la mia
e quella di Barbara (*). Quando le hai lette, me le rendi.
E va bene. Ora le leggo. E poi approfitterò
del fatto che di Rita Castelli sono camerata da un pezzo, per spulciare
dalle sue relazioni quello che mi pare, per vostro uso e consumo. (Altro
che camerate! 1924: costituzione del Gruppo femminile Fascista nella nostra
città. E Rita è con me. 20 settembre 1943: costituzione nella
mia città del Fascio Repubblicano. E Rita è con me. Poi,
arruolamento nel Corpo Servizi Ausiliari. E Rita è con me.
"Per la prima volta dopo le tragiche giornate
dell’armistizio esce lo 'Spaccio volante' da... per recarsi dai soldati
in linea. Sono le otto. Noi ausiliarie, insieme a due soldati - giornalista
e fotografo - partiamo trepidanti e felici. Costeggiamo il mare liscio
come l'olio. L'acqua ha delle meravigliose sfumature che vanno dall’azzurro-verde
al cobalto cupo, e questa meraviglia fino a...[Deve trattarsi di un
omissis in quanto zona di operazioni. ndr] Qui il panorama cambia:
del ridente paese non è rimasto che un mucchio di macerie. I bombardieri
nemici vi si sono abbattuti con sadica ferocia. Solo il campanile della
chiesetta, mezzo stroncato, dall’alto fa la guardia a questa immensa rovina.
Gruppi di alpini incontrati per strada ci fanno
segno di fermarci. Li accontentiamo: ci assalgono con uno scroscio di domande,
vogliono sapere cosa abbiamo, cosa portiamo. Intanto offriamo loro da bere.
Gli alpini ci attorniano festosi. Togliamo dallo
spaccio grappa, vino, salame, formaggio, biscotti, caramelle, aranciate.
Tutti ne vogliono e sono impazienti. Facciamo del nostro meglio per accontentarli
tutti, e al più presto. I bicchieri della grappa e del vino si incrociano,
gli alpini ridono contenti. La radio intanto trasmette La montanara, autentica
canzone alpina. Arriva un ufficiale, seguìto da un carro con una
botte, a prelevare il vino per i suoi soldati che, sparsi sulla montagna,
non possono scendere. Ultimata la vendita, si spianta il banco. Sono le
14.30. Ormai la radio tace. Ci accompagna il saluto festoso degli alpini".
E un altro giorno:
"Prima di X l'auto si ferma per la rottura
di una gomma, Eseguiamo la riparazione, ma ad Y un'altra fermata... Scendiamo
tutti, sembra che il guasto sia grave; infatti, c'è un grosso buco
nel copertone. Si cerca di ripararlo, ma è impossibile. Approntiamo
in fretta il banco. La radio fedele non ci abbandona. Gli alpini sono molti.
Dobbiamo e vogliamo accontentarli tutti. Intanto si fa buio e ancora ce
ne sono. Un ufficiale ci porta una candela. Alla fine tutti hanno la loro
parte, tutti sono contenti... La luna, un disco meraviglioso, illumina
tutto. Procediamo a fari spenti sulla strada a nastro. A... ci fermiamo.
Siamo in allarme. Sopra di noi apparecchi nemici, ronzano e si allontanano.
Riprendiamo per un breve tratto di strada, poi dobbiamo nuovamente fermarci.
Gli aerei passano rasenti sopra di noi. Aspettiamo un po', quindi ci avviamo
lentamente, incontrando una lunga colonna di tedeschi, a piedi, con carri
trainati da buoi e cavalli. Il rombo del motore ci impedisce di sentire
il ronzio degli apparecchi che ci seguono insistentemente. Nel cielo terso
si scorge nitida la formazione nemica. Vengono lanciati razzi illuminanti.
Ci fermiamo di nuovo. Gli autisti cercano di occultare le macchine sotto
le piante, e noi ci sediamo su un muricciolo, cercando di stare nell'ombra.
I traccianti saettano in cielo. Gli apparecchi passano e ripassano.
Sopra di noi fischiano i proiettili delle batterie
costiere. Un fischio più acuto, vicinissimo. Uno scoppio. Frammenti
volano, ci gettiamo a terra. Un attimo. E caduto un proiettile a pochi
metri da noi... Ripartiamo. Con noi è salito un alpino che fa la
nostra stessa strada; è un ragazzone alto, robusto, ha un viso aperto
e intelligente. Sono le tredici. L'appetito si fa sentire e ci dividiamo,
da buoni camerati, pane e salame. Terminato il pasto, il 'buon figlio della
montagna' toglie dalla tasca un involtino, lo scarta e ce lo mostra: un
biberon! Ci guardiamo stupite, lo guardiamo... Sorridendo, ci spiega che,
oltre ad essere il postino della Compagnia, lui è anche 'la balia'
del cucciolo che si sono presi come portafortuna.
Già, è questa la semplice e ardente
vita dell'ausiliaria in moto: sole che splende, luna che agghiaccia. E
scoppi, e sussulti, e morte... Ma anche squilli di risate giulive. E la
serena gioia di portarvi, soldati, nelle ore aspre in cui la Patria tutto
vi chiede, la dolcezza di una parola di fede e di fraterno amore.
(*) Barbara Forlani, ausiliaria della "Monterosa", uccisa
a guerra finita a Rosasco (PV), di cui abbiamo parlato più volte.
Ringraziamo vivamente le sorelle di Barbara, che ci hanno trasmesso questa
pagina della compianta Patinano.
NUOVO FRONTE N. 162. Marzo 1996 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
IO REPUBBLICHINA SENZA
PENTIMENTI Nicoletta Mainardi, volontaria della Xa
Miriana Rebaudo
Il boogie-woogie, colonna
sonora dell'Italia che voleva lasciarsi alle spalle gli orrori e le ristrettezze
della guerra, riempie la sala da ballo. La voce metallica di un altoparlante
interrompe la musica. Nella palestra di corso Monte Grappa trasformata,
più con la fantasia che con i mezzi, in un locale da ballo si diffonde
questo appello: "L'ex ausiliaria fascista, Mainardi Nicoletta, è
pregata di abbandonare la sala", un caldo giugno del 1945. Tra i ballerini
cala il gelo. Una ragazza di vent'anni lascia il suo cavaliere e in tutta
fretta si allontana, approfittando del momento di confusione.
Le ferite sono ancora aperte
e per l'ex repubblichina non c'è tempo per riflettere: la festa
è finita. Almeno per Nicoletta Mainardi: «E non fu la sola
volta che la mia passione per il ballo ha rischiato di tramutare un pomeriggio
diverso dal solito in una tragedia». Poche settimane dopo, infatti,
la ragazza riesce a convincere nuovamente la madre ad accompagnarla nei
locali della scuola di piazza Martinez, altra improvvisata balera. Qui,
la giovane ex ausiliaria della Decima Mas, viene riconosciuta da un gruppetto
di partigiani che le si avvicinano con un'aria alquanto minacciosa. La
salva solo il pronto intervento di un inglese, al quale poco prima la giovane
aveva raccontato la sua storia pericolosa di fascista intenzionata a non
rinnegare la propria fede. Al gentleman che chiede cosa stiano facendo,
i partigiani replicano: «E' una fascista» e lui, con humor
tutto anglosassone commenta: «Finalmente una». Per la Mainardi
è la salvezza. Poi, col passare delle settimane, la sete di «vendetta»
si placherà e i successivi balli avranno tutti un andamento assai
più tranquillo. Andava «normalizzandosi» la vita di
quei ragazzi, e la ventenne Mainardi era tra questi, per i quali la guerra
era iniziata allo scoccare del 25 aprile, quando per i loro coetanei era
finalmente finita.
«Sono partita nel 1944
- racconta Nicoletta, genovese cresciuta in una famiglia di fascisti assai
tiepidi - perché credevo in quegli ideali. Anche se la sconfitta
si intravedeva ormai dietro l'angolo, mi sembrava giusto. E poi, a quell'età,
la speranza esiste sempre». Alle spalle la classica trafila di chi
è nato nel Ventennio: figlia della lupa, piccola italiana, studentessa
della Gil. In quell'Italia del "dopo 8 Settembre", tutta inventiva
e poche regole, il gruppo delle ausiliarie della Repubblica Sociale è
davvero un'anomalia: qui ordine e disciplina restano in cima a tutto e
la giovane genovese lo provò a sue spese: «Una notte in cella
di rigore, che vergogna», dice, per un alzabandiera eseguito distrattamente.
Da Sondrio, nella Polizia
di Frontiera, il passo successivo è al corso della X Mas, quella
guidata da Junio Valerio Borghese. «Finito il corso la comandante
generale del corpo femminile, Fede Arnaud, mi incarica della propaganda
e dell'arruolamento nel nord Italia». Il sud è già
in mano alleata, la linea Gotica assegna alla penisola destini diversi.
Per l'ausiliaria Nicoletta Mainardi sono mesi di viaggi e un po' in treno
e un po' in autostop, mai turbati da brutte avventure. E lei, che sogna
di essere inviata in prima linea, ne soffre.
Si rifarà dopo il 28
aprile, quando la notizia dell'uccisione di Benito Mussolini e di Claretta
Petacci rischia di far degenerare una situazione già molto difficile.
I giorni dopo il 25 aprile e l'Italia liberata in festa, sorprendono le
ausiliarie e i ragazzini della X Mas a Lonato, a pochi chilometri dal lago
di Garda, dove si consumano gli ultimi giorni del Regime. Borghese organizza
un'autocolonna e porta il suo giovanissimo esercito a Milano. "Qui
- prosegue Nicoletta per qualche giorno siamo rimasti asserragliati in
due palazzi di piazzale Fiume, oggi piazza della Repubblica, a due passi
dalla stazione centrale. Poi, il comandante riesce a trattare la resa con
i capi partigiani e, ottenuta l'assicurazione che nessuno ci torcerà
un capello, libera gli assediati".
Sono i giorni in cui, tra
le vie di Milano, non è difficile imbattersi in donne rapate a zero,
con la testa cosparsa di minio e con al collo il cartello con la scritta:
fascista. Nicoletta, insieme a tre amiche, una di Sanremo, una di Vallecrosia
ed una romana, si nasconde nel Piccolo Cottolengo di don Orione. «Noi
raccontammo di essere delle studentesse, ma lì capirono immediatamente
la realtà. In una stanza vicina alla nostra c'era una vecchietta
che ci ripeteva: state attente. Scoprimmo il perché solo il giorno
in cui due uomini armati e un prete vennero a prelevarla». Era la
governante di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori della Repubblica
Sociale, uccisi dai partigiani. «Capimmo di essere in pericolo e
allora scappammo di nuovo». Era maggio. Il gruppo di amiche si separa.
Una, la romana, finirà in campo di concentramento. Le tre liguri,
invece, dopo un breve viaggio in treno fino a Pavia, capiscono che è
meglio affidarsi all'autostop. A farle arrivare fino alle porte di Genova
è proprio una jeep carica di partigiani.
CORRIERE MERCANTILE Quotidiano